Dies irae, dies illa solvet saeclum in favilla
(Giorno d’ira, quel giorno distruggerà il mondo nel fuoco, dal Requiem)
Dona Nobis Pacem
(Dacci la Pace, dal Requiem)
“… Nella sofferta agiografia della vita quotidiana, Santi siamo tutti noi, chiamati, in tempi tormentati e tormentosi, ad assumerci il carico delle nostre esistenze. Non più pallide icone di individui ridotti a merce, ma trasfigurazioni di vite dettate da compiti morali e da responsabilità forti nei confronti di noi stessi.
Santi ed eroi, o prima eroi e poi Santi, impossibilitati ormai a delegare ad altri la nostra eticità e la nostra dimensione umana. E il rifiuto della delega comporta finalmente l’assunzione di responsabilità e rovescia in anatema la celebre frase del Galileo Brechtiano, che così diventa “maledetto il popolo che ha bisogno di eroi”.
La vertigine della modernità, oggi, sta tutta qui. Nella possibilità di attingere, per la prima volta nella storia, al sacro. Ed è un atto del tutto personale, una scelta individuale…
Perché la nostra sacralità risiede nel nostro esistere, nella pienezza di noi esseri umani, e nel sapere che ciò avverrà per un tempo breve. Accettare la nostra finitezza e la nostra piena umanità.
Questo il senso del sacro, oggi.
Così, possiamo riconoscere e riconoscerci nelle persone qui raffigurate, messe in effige.
Si chiamano Guido, Mariagrazia, Emanuele, Ayako, Claudio,Walter, ma potrebbero anche chiamarsi Anna, Matteo o Daniele. Sono persone la cui giornata scorre come le nostre.
Il loro sforzo è di restare come davvero sono e sentono, accarezzare le proprie emozioni anche quando sono drammatiche, senza farsene sopraffare.
E’ un compito eroico, ancor più perché presuppone l’assenza di un pubblico che li gratifichi.
Sono i santi di oggi, laici e quello che fanno è senza ricompensa, senza la promessa di un paradiso, mediatico o religioso.
La loro eccezionalità consiste nella loro invisibilità, nel non essere e non voler essere indicati come modello da inseguire. I segni che portano sono quelli della sofferenza, nei tempi sempre uguale.
I chiodi, le frecce, la cera incandescente, le croci di tortura sono gli stessi segni senza tempo di cui si sono impossessate le religioni per autorizzare l’ingresso rapido al paradiso.
Perché la trasfigurazione decolora i confini personali, quelli angusti delle piccole vite, e proietta verso le grandi dimensioni.
Le opere di Bergamo & Pizzigoni hanno grandi dimensioni non solo per affermare questa realtà.
Ma soprattutto per assorbire, in un’irresistibile attrazione gravitazionale, la vita. Perché quando l’esistenza si fa umana, davvero umana, i confini si polverizzano e la realtà si trasfigura.
Ecco allora l’uso del colore metallico, soprattutto l’acciaio, che si vuole evidentemente mostrare come superficie specchiante, capace di catturare il sé spettatore. Una sorta di fusione implosiva, che porta lo spettatore a “penetrare”, osservandosi, nell’opera, proiettandovi la propria esistenza, oltre i confini del piccolo Io. Nella dimensione del sacro, oggi, i confini trascolorano e le esistenze
si fondono, quando il mondo si fa grande e l’umanità, quella vera, profonda, trova il respiro vitale e la materia giusta per emergere…”
Interessante ed unico è lo spirito che porta gli artisti alla scelta della cera, in quel capitolo della mostra, ancora più umano che hanno denominato appunto Cere.
E’ la scelta di una materia naturale e millenaria, assurta a simbolo della passione, votiva e confidente perché raccoglie attese di liberazione dal dolore, di sottomissione all’ignoto ma soprattutto di speranza: dove la cera si consuma l’uomo guarda verso l’alto e in quella piccola fiamma ritrova la scintilla primordiale, il fuoco della vita.
C’è un misticismo globale, moderno, etico in quelle opere, una mentalità laica che usa il sacro ma non vi si sottomette: c’è un racconto vero dell’oggi e sapere che la cera che le compone viene da un luogo simbolo in assoluto per le preghiere di mezzo mondo, il Santo Sepolcro di Gerusalemme, non può che dare una connotazione di grandezza vera all’opera, al pensiero che si porta dietro.
Il gesto di Bergamo&Pizzigoni di raccogliere il frutto vivo di quelle migliaia di candele consumate, con tutta la vita che contengono, rende all’arte ciò che moda marketing tentano di rubarle.
Lascia il gesto per il gesto e chiama a riflettere l’umanità, oggi, così come siamo. Accettandoci per mutarci.
I santi oggi siamo noi.
La mostra prosegue fino al 4 dicembre. Apertura dal martedì al venerdì dalle 15 alle 20, sabato e domenica dalle 11 alle 20.
Fabrizio Bergamo, fotografo, nasce a Venezia nel 1951. Nella sua lunga carriera, iniziata nel 1975, spazia
dall’arredamento, allo still life, alla ritrattistica, realizzando servizi fotografici per le più prestigiose riviste internazionali, e
campagne di immagine per i maggiori marchi di arredamento, italiani e non. In campo artistico, tra i suoi progetti più
riusciti, una serie di ritratti in stenoscopia, capaci di fotografare la realtà, non come mera riproduzione, ma come fonte di
luce primigenia.
Vive a Milano con una moglie, una figlia ventenne e un cane Labrador nero.
Davide Pizzigoni nasce a Milano, architetto, scenografo, designer. La sua prima personale di pittura è del 1986.
Seguiranno numerosi lavori in cui tutti gli aspetti creativi delle sue attività professionali si concretizzano, in giro per il
mondo, a Milano, Roma, New York, Tokyo e Osaka in libri, oggetti, tele, installazioni, costumi di scena, scenografie.
In particolare lavora da alcuni anni ad una ricerca su La forma del vuoto che culmina in scenografie teatrali a Vienna e
Tokyo ed in un’installazione multimediale a Parigi, Le souffle du vide aux Arènes de Lutece.
Pubblica numerosi libri in Italia, Francia e U.S.A. dedicati a singole opere liriche e che si possono considerare vere e
proprie regie su carta.
SANTI
Bergamo&Pizzigoni
a cura di Mario Giusti
inaugurazione 11 novembre 2011 dalle 18,30
fino al 4 dicembre 2011
Spazio HQ – Headquarter
Alzaia Naviglio Pavese 50 – MILANO