La ricorrenza del centocinquantesimo dell’Unità d’Italia offre agli italiani una preziosa occasione per riflettere sulla propria identità di popolo e sulla storia nazionale, una storia che è passata anche attraverso due guerre mondiali e un periodo drammatico come quello del ventennio fascista: un passato che, è chiaro, ci riguarda direttamente, dal quale non si può e non si deve prescindere, poiché discendiamo da esso, figli tanto di coloro che hanno lottato da volontari seguendo la visionaria passione di Garibaldi e di Mazzini, quanto di chi ha combattuto nei conflitti del secolo scorso e di chi ha dato la propria vita durante la Resistenza. Per questo, avvicinando idealmente due ricorrenze – quella dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia e quella del 25 aprile – la Fondazione Ciceri Losi ha deciso di proporre un’iniziativa che riaffermi il valore di uno strumento fondamentale per la storia del nostro paese, un documento redatto proprio nei mesi successivi alla Liberazione, che ha sancito le scelte nazionali, rendendo l’Italia una Democrazia e una Repubblica: la Costituzione.
Come primo passo in questo particolare omaggio alla Costituzione italiana si è voluto lavorare su un articolo fondamentale, di forte impatto emotivo oltre che di capitale importanza: l’Articolo 11 (“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”).
Per celebrare questo notissimo passaggio della nostra Costituzione, la Fondazione Ciceri Losi, in collaborazione con il Comune di Lecco e con il Patrocinio della Provincia di Lecco e dell’ANPI, ha scelto una prospettiva inconsueta, affidando il compito di trasmetterne il senso più profondo allo sguardo di sedici artisti contemporanei. Ne è nata una collettiva complessa e interessante sia dal punto di vista artistico che da quello – fondamentale in un’occasione come questa – di contenuto: una serie di opere che fanno riflettere, forse anche discutere, sull’assurdità della guerra, ma anche sull’inevitabile e viscerale legame che essa sembra avere con il genere umano e con la sua storia; una mostra che prende spunto da due celebrazioni storiche per parlarci di stretta attualità. Per riscoprire, qualora ce ne fosse bisogno, il valore dell’Articolo 11, ma anche per ricordare l’importanza degli eventi storici che hanno portato alla creazione della nostra Costituzione. Protagonisti sono artisti diversi per età, formazione e cifra stilistica.
Ciascuno di loro ha scelto una strada personale per lavorare sul tema, nella massima libertà tecnica, stilistica e iconografica. Una sequenza di opere evocative – ora figurative ora astratte: dipinti e sculture, lavori concettuali e installazioni – pensata per suggerire una riflessione a tutto tondo sulla guerra e sulla bellicosità dell’uomo. Un percorso che comincia idealmente con Martirio, tela realizzata nel 1998 da Giansisto Gasparini, protagonista d’eccezione della scena artistica lariana degli ultimi sessant’anni: un’opera intensa quanto macabra e dolorosa, nella tangibile concretezza delle carni violacee di un gruppo di cadaveri sventrati, decapitati o orribilmente sfigurati. Sono corpi anche quelli plasmati nella materia da Dolores Previtali, inconfondibile nel suo modo di raccontare il dolore e di renderlo manifesto, e da Elena Mutinelli, scultrice straordinaria, capace di indagare l’anatomia con sguardo personale e di farne oggetto di una riflessione che riguarda
tutti; una riflessione forte, profonda, come quella suggerita dalle opere, decisamente più concettuali, di Armando Fettolini – autore di una toccante
serie di teste senza volto, testimoni di un dramma tutto umano –, di Ernesto Longobardi – abilissimo come di consueto nell’elaborare un’opera sospesa e pura nel suo minimalismo formale, ma densa di significati – e di Andrea Cereda – che per l’occasione abbandona la cifra stilistica che meglio lo contraddistingue per proporre un’opera di sicuro impatto, efficacissima nella sua disarmante immediatezza –.
Sconvolgente per intensità e forza espressiva è anche il lavoro di Francesco Diluca, che trasporta lo spettatore negli orrori di Guantanamo: un’opera che, partendo dalla stretta attualità, si fa simbolo di tutte le prevaricazioni, le angherie e le violenze delle quali l’uomo è stato ed è capace. Ai prigionieri di Francesco Diluca si contrappone la figura del soldato in vetroresina firmato dal giovanissimo Samuel Fortunato, un gigantesco giocattolo che con la sua sinistra e silenziosa presenza occupa lo spazio imponendosi allo spettatore. Non mancano gli aerei, quelli quasi spettrali e dipinti a pennellate sommarie e profondamente espressive da Davide Maggioni; quelli tracciati con segno sicuro dalla felicissima mano di Max Marra, che con pochi tratti riesce a restituire tutto l’orribile furore di un bombardamento; quelli, infine, proiettati sul volto urlante plasmato da Mauro Benatti nella rete metallica. Ricordano le incursioni belliche, la guerra al fronte e la polvere del campo di battaglia anche le opere di Carlo Oberti, Bruno Biffi e Bruno Freddi. Simbolico e concettuale il primo – con un lavoro che gioca sulla giustapposizione della parola scritta (la notizia, l’informazione) e della maschera antigas (l“oggetto di guerra” per eccellenza) –, poetico il secondo – con un’immagine che suggerisce la tragedia con pochi segni sapientemente incisi –, teatrale e visionario il terzo – abilissimo nel sintetizzare il dramma dell’evento bellico in un’installazione altamente simbolica: quasi un totem che evoca scenari di morte e dolore. Tristemente evocativa è anche la scritta che dà il titolo al dipinto su tavola di Gaetano Orazio, Arbeit Macht Frei: un’opera risolta con straordinaria libertà espressiva che dal ricordo dei campi di sterminio nazisti propone motivi di riflessione ben più ampi. Infine il lavoro del giovane Fabio Presti che, sul filo di un sarcasmo sottile, apre un amaro dibattito sul rapporto tra l’Italia e la guerra, ritraendo con benevola ma acuta ironia un’anziana signora di centocinquant’anni che, seduta sulla sua poltrona preferita, gioca ancora con le armi.
La Fondazione Ciceri-Losi è stata insediata il 13 maggio 2008, con lo scopo di conservare e tutelare il patrimonio ideale, documentale e immobiliare del Partito Comunista Italiano, dalla fondazione (1921) sino al termine della sua esperienza storica (2007), non senza prima aver attraversato la fase Partito Democratico di Sinistra e dei Democratici di Sinistra. La Fondazione Ciceri-Losi si è data uno statuto che pone fra le sue finalità più importanti “la promozione culturale e politica dei valori della sinistra italiana ed europea” (art. 2). Per il raggiungimento dei suoi scopi promuove la partecipazione ad “associazioni, enti ed istituzioni, pubbliche e private la cui attività sia rivolta, direttamente o indirettamente, alla promozione del dibattito politico e dello sviluppo culturale e civile della società”. Dopo una consultazione tra i soci fondatori si decide di dedicare la Fondazione a Francesca “Vera” Ciceri e Piero Losi, due figure particolarmente significative della Resistenza antifascista nel lecchese, che hanno dedicato gran parte della loro vita alla formazione culturale, politica, sociale del movimento dei lavoratori. Esponenti di spicco del Partito Comunista Italiano sono stati nel nostro territorio un punto di riferimento per tante iniziative in favore della libertà, della giustizia e della democrazia. Intitolare a loro la Fondazione ha avuto il senso di radicarla nella nostra Costituzione, nell’Italia repubblicana e democratica, nate entrambe dalla volontà e dall’impegno di persone come Vera e Piero.
Francesca Ciceri, nome da partigiana “Vera”
Vera nasce a Rancio il 23 Agosto 1904. A soli undici anni entra in fabbrica come operaia metallurgica. Nel 1919 sposa Gaetano “Nino” Invernizzi, che avrebbe ricoperto incarichi di alta responsabilità nel movimento antifascista. Entrambi partecipano all’occupazione delle fabbriche del 1920. Perseguitati dal fascismo riparano in Francia, per rientrare ripetutamente negli anni Trenta in Italia ed organizzare la Resistenza.
I coniugi sono arrestati a Milano nel 1936 e Vera viene condannata dal Tribunale speciale fascista a otto anni di carcere da scontare a Perugia. Liberata da un’amnistia nel 1941 riprende immediatamente il lavoro politico e nel settembre del 1943 con Gaetano si pone alla guida del movimento
antifascista del territorio lecchese. É tra i primi partigiani a raggiungere i Piani d’Erna, alle falde del Resegone, dove ha inizio la lotta di Liberazione sulle montagne di Lecco.
Continua poi la sua attività di partigiana a Milano dove fino al termine della guerra di Liberazione dirige i gruppi in difesa della donna.
Dopo la morte di Gaetano (1959) torna a Lecco e, tra l’altro, assume la pre-
sidenza dell’ANPI. Nel 1977 l’Amministrazione Comunale di Lecco le conferisce la medaglia d’oro per i suoi meriti patriottici e civili. Vera muore a Lecco il 19 Gennaio 1988 e viene sepolta nel cimitero di Acquate accanto al suo Nino.
Piero Losi, nome da partigiano “Piero”
Piero, genovese di nascita, è una delle figure di rilievo della guerra partigiana in Valsassina. Componente autorevole della 55a brigata Rosselli, dove copriva la carica di Commissario del 2° battaglione, a lui si deve la ricostruzione della formazione dopo i tremendi rastrellamenti del ‘44.
Dopo mesi di lotta che aveva determinato il controllo di gran parte della Valsassina da parte delle formazioni partigiane, nel mese di ottobre del 1944 inizia un’offensiva generale da parte di un numero preponderante di tedeschi, appoggiati dai fascisti delle Brigate Nere e delle Guardie Nazionali Repubblicane.
Le formazioni partigiane, dopo settimane di strenua resistenza e incredibile sofferenze in un inverno rigidissimo, si disgregano: alcuni gruppi riescono a raggiungere la Svizzera, alcuni combattenti vengono catturati e giustiziati, altri abbandonano alla spicciolata la montagna.
Quella che era stata la salda ossatura non solo della “Rosselli”, ma di tutta la 2a Divisione, era caduta in frantumi.
Queste cifre, esposte in pubblico manifesto, sono per sé sole, eloquenti:
130 Morti (compresi i civili)
700 abitazioni distrutte (alberghi, rifugi, case, baite)
450 deportati (compresi i civili).
Dai resoconti dell’epoca si legge che Piero Losi assunse il comando degli
uomini che operavano in Val d’Inferno.
Nella prima settimana di dicembre, quando la neve raggiungeva i tre metri di altezza, anche loro tentarono il passaggio in Svizzera. Piero, che soffriva di congelamento ai piedi, si trascinava a stento sulla neve aiutato dalla moglie Laura e dai compagni. Il passaggio si prospettava assai difficile, perchè non erano state ritirate tutte le truppe che avevano operato il grosso rastrellamento che aveva fatto sconfinare la 1a e 2a Divisione. Infatti, in Val Bitto, durante alcune ore di sosta, vennero attaccati. La mossa di accerchiamento non riuscì per un vero miracolo. Solo due uomini vennero catturati perchè rimasti fedelmente a guardia e a soccorso del Commissario Piero, che sfinito, non poteva più proseguire. Piero, nascosto nella neve, non fu catturato. Dei rimanenti uomini, alcuni tornarono in Val d’Inferno, altri si sbandarono. Come accennato all’inizio, Piero Losi partecipò nella primavera successiva alla riorganizzazione del movimento partigiano. Al termine della guerra, Piero si stabilì a Lecco, dove riprese il suo lavoro e il suo impegno
civico. Fu per molti anni consigliere comunale della città nelle file del Partito Comunista Italiano e ricoprì la carica di Presidente dell’ANPI.
17.04.2011 – 15.05.2011
Lecco – Torre Viscontea
Piazza XX Settembre
Orari di apertura della mostra
da martedì a venerdì 15/19
sabato e domenica 10.30/12.30 -15/19
lunedì 25 Aprile aperto 15/19
Chiuso Tutti i lunedì, Pasqua e 1 Maggio
Informazioni 335.84.98.514